Caporalato: una piaga dell’agricoltura italiana

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Il caporalato è un problema grave che continua a devastare il settore agricolo italiano, strettamente legato al fenomeno delle migrazioni. Questo fenomeno rappresenta un business miliardario, gestito principalmente da organizzazioni criminali che sfruttano centinaia di migliaia di lavoratori. Tra questi, molti sono migranti irregolari, costretti a lavorare fino a 12-14 ore al giorno per paghe misere, vivendo in condizioni igieniche pessime.

Cos’è il caporalato

Il caporalato è un sistema illegale di reclutamento e gestione dei lavoratori, dove intermediari illegali, detti caporali, forniscono manodopera al datore di lavoro. Questi intermediari trattengono una parte del compenso, che viene corrisposta sia dal datore di lavoro che dal lavoratore. Le paghe sono molto inferiori ai minimi salariali, e il caporalato, ormai infiltrato nella criminalità organizzata, mira a sfruttare la manodopera a basso costo.

Un business miliardario

Il valore economico del caporalato è difficile da quantificare con precisione, ma si stima che il lavoro irregolare in agricoltura possa valere circa 4-5 miliardi di euro. Solo l’evasione contributiva nel settore agricolo è stimata tra i 700 e i 900 milioni di euro. Questo giro d’affari prospera sulla pelle dei lavoratori, che ricevono paghe da fame per giornate lavorative estenuanti.

Leggi e Sanzioni

Dal 2011, il caporalato è perseguibile penalmente. L’articolo 12 del decreto n. 138/2011 prevede pene da 5 a 8 anni di reclusione. Nel 2016, la legge 199, promossa dall’allora ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, ha inasprito le pene e introdotto nuovi strumenti per contrastare il fenomeno. Questa legge prevede la confisca dei beni, l’arresto in flagranza e la responsabilità diretta del datore di lavoro, con pene da uno a sei anni di reclusione per ogni lavoratore reclutato.

Un Problema diffuso

Il caporalato colpisce circa 230.000 lavoratori nelle campagne italiane, di cui 55.000 donne. Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto Flai Cgil, più di un bracciante su quattro in Italia lavora in nero. La paga media è di 20 euro al giorno per 10-14 ore di lavoro. Le donne guadagnano il 20-30% in meno degli uomini. Il fenomeno è particolarmente diffuso nell’Agro pontino e nella provincia di Latina, ma interessa tutto il territorio nazionale, dal Sud al Nord Italia.

Le condizioni dei lavoratori

I lavoratori sottoposti al caporalato vivono in condizioni disumane, senza alcuna tutela o diritto garantito. La paga giornaliera varia tra i 20 e i 30 euro, con il lavoro a cottimo che prevede 3-4 euro per un cassone da 375 chili. I lavoratori devono pagare il trasporto e i beni di prima necessità ai caporali. Gli orari di lavoro possono arrivare fino a 14 ore al giorno.

Inchieste e processi

Le inchieste per sfruttamento lavorativo sono in aumento esponenziale. Le procure italiane hanno aperto 834 inchieste, con 357 imputazioni solo per i datori di lavoro, 164 solo per i caporali e 138 per entrambi. Questo dimostra l’efficacia della legge 199/2016, che permette di punire i datori di lavoro anche in assenza dell’interposizione di un caporale.

Il Caso di Satnam Singh

Recentemente, il caso di Satnam Singh, un giovane bracciante indiano morto in provincia di Latina dopo un incidente sul lavoro, ha riacceso i riflettori sulla gravità del caporalato. Singh ha perso la vita dopo aver perso un braccio in un incidente, evidenziando ancora una volta le condizioni disumane in cui vivono e lavorano questi braccianti.

Il caporalato continua a essere una ferita aperta nell’agricoltura italiana. Nonostante le leggi e le sanzioni, il fenomeno persiste, alimentato dalla disperazione dei migranti e dalla sete di profitto delle organizzazioni criminali. È necessario un impegno continuo e concreto da parte delle istituzioni per debellare questa piaga e garantire dignità e diritti a tutti i lavoratori.

Fonte dell’articolo https://tg24.sky.it/cronaca/.